È quanto sostenuto dalla giurisprudenza orientata nel riconoscere la risarcibilità del danno da stress o da usura psicofisica, configurato come “danno non patrimoniale da inadempimento contrattuale”.
La giurisprudenza si riferisce, in particolare, ad un significativo superamento del limite orario di lavoro, per il quale si può verificare un danno da stress in capo al dipendente che pregiudica i suoi abituali interessi di vita privata e sociale.
Nella sentenza n. 171 dell’8 marzo 2024, il Tribunale di Padova, Sezione Lavoro, ha affermato e riconosciuto che lo stress è conseguenza di una prestazione lavorativa che eccede di gran lunga i limiti previsti dalla legge e dalla contrattazione collettiva, che si protrae per diversi anni e si concretizza in una “infermità” fisica e/o psichica per la quale è legittimo riconoscere un risarcimento del danno.
L’esistenza del danno da stress o da usura psicofisica, a differenza del danno biologico, è presunta quando il datore di lavoro:
• non assicuri al lavoratore il diritto al riposo, così come garantito dall’articolo 36 della Costituzione, oltreché dalla legge e dalla contrattazione collettiva;
• l’inadempimento posto in essere dal datore di lavoro risulti significativo e di gravità sufficiente a determinare la misura ed entità del danno da stress.