Colf, badanti e baby sitter: le famiglie italiane non possono permettersi il salario minimo a 9 euro

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Nuova Collaborazione – Associazione Nazionale Datori di Lavoro Domestico, componente di Fidaldo – lancia l’allarme sul salario minimo.

La questione sembrava non essere più nell’agenda del governo. Ma il provvedimento recentemente approvato dal Parlamento Europeo fa preoccupare i datori di lavoro domestico: specie se l’esito fosse quello dell’approvazione di una legge che fissa il salario minimo a 9 euro l’ora anche per i collaboratori domestici.

Un collaboratore domestico convivente con orario fino a 54 ore settimanali – buona parte dell’orario consiste in una prestazione c.d. di attesa – costerebbe alla famiglia 2.106 euro al mese oltre a vitto, alloggio e versamenti contributivi. Le 40 ore del collaboratore non convivente costerebbero 1.569,00 euro. Risulta evidente che la maggior parte delle famiglie non potrebbero assolutamente sostenere costi del genere.

Il disegno di legge a suo tempo presentato così come è non può funzionare.

L’obbligo che non c’è

A ben vedere, la direttiva europea non obbliga gli stati membri ad adottare il salario minimo. Ai paesi che lo adottano indica i parametri per determinarlo (come potere d’acquisto e lotta alla povertà). Per quelli che non lo adottano fissa all’80% la copertura minima della contrattazione collettiva.

La contrattazione collettiva

Ciò dimostra la centralità della contrattazione collettiva: il salario minimo potrebbe essere utile a regolamentare quei lavori che restano al di fuori di questa.  Il CCNL (Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro) sulla disciplina del lavoro domestico fissa a 821,56 euro mensili lo stipendio di una colf convivente di livello B (collaboratore generico polifunzionale). La badante e la babysitter che assiste bambini fino a sei anni di età, oggi costano 997,61 euro al mese (liv. CS). La retribuzione oraria dei lavoratori non conviventi ammonta oggi a 5,86 euro per la colf (livello B) e a 6,93 euro per la badante (liv. CS – assistenza a persona non autosufficiente). Si tratta di retribuzioni che le famiglie fanno già molta fatica a sostenere, specie nel sud Italia.

Va poi osservato che mentre nei rapporti di poche ore settimanali la retribuzione concordata può superare i minimi, nei rapporti a lungo orario la retribuzione tende a coincidere con quella stabilita dal CCNL, specie nel CS e, a dire il vero, spesso è addirittura inferiore.

Il rischio del lavoro in nero

Un aumento indiscriminato delle retribuzioni che non tenga conto delle realtà territoriali né delle diverse mansioni e tipologie in cui si articola il lavoro domestico finirebbe per determinare un aumento incontrollato del lavoro in nero, con conseguenze gravissime sia sotto il profilo della sicurezza e della tutela dei diritti, sia sotto il profilo del gettito contributivo che verrebbe a mancare.

Non va dimenticato che oltre un milione di rapporti di lavoro domestico giacciono ancora nel sommerso, più della metà di quelli dichiarati agli enti previdenziali ed assicurativi.

Da anni le associazioni firmatarie del CCNL come Nuova Collaborazione chiedono una politica di sgravi e sostegni a favore delle famiglie che assumono lavoratori domestici, il salario minimo non è certo la risposta che le famiglie attendevano.